L’isola del dissenso

a cura della dott.ssa Alessia Facineroso

 

L’isola rivoluzionaria in età contemporanea

 

 

La Sicilia contemporanea è la storia delle sue voci, che s’intrecciano, si sovrappongono, si animano in fretta e veloci si dissolvono, pronte a riemergere, d’improvviso, per raccontare le mille anime di un’isola inquieta, che da sempre si esprime attraverso la dialettica serrata   con re e dittatori, autorità, governi ed istituzioni.

 

La pressante richiesta di rappresentanza; la protesta contro leva e tasse, simboli funesti di un potere ostile; la pretesa di indipendenza e la preghiera d’autonomia; l’invocazione della patria italiana e l’anatema scagliato contro il suo centralismo; la domanda di terre e quella di uffici; la risposta agli “affronti”; il grido di libertà opposto a quelli di terrore dei regimi più illiberali: tutta la vicenda siciliana è il tentativo di infrangere il silenzio – non importa se di attesa, di angoscia o di rassegnazione – dando vita a quella che, non a caso, Albert Hirschman definisce proprio voice, «l’atto di chi reclama, o si organizza direttamente per reclamare o protestare».

 

Di questa voce, la Sicilia sperimenta toni ed intensità diverse, fino a giungere alle forme violente e conflittuali dei moti insurrezionali che ne costellano la storia, soprattutto durante l’Ottocento: diviene così la patria della rivoluzione, conquista la sua fama di appendice ribelle, spina nel fianco dei governi che l’amministrano, senza mai controllarla; rielabora la tradizione dei Vespri, si fabbrica un concetto di nazione che inizia e finisce dentro i suoi confini, e solo al prezzo di aspri scontri arriva infine ad unirsi a quella italiana. Molteplici sono gli snodi che compongono questo percorso, fino a tessere la trama sfaccettata di una terra mutevole, in constante trasformazione: l’isola “spagnola” e quella aristocratica, che si fronteggiano e si combattono nel 1820; la patria indomita che associa la paura del colera alla lotta contro la tirannide; il paese della primavera dei popoli, primo a decretare la decadenza della dinastia borbonica e a vivere come una “repubblica” poggiata sul Mediterraneo; la terra patriottica del 1860 e quella delusa, di sei anni più vecchia, che per una settimana e mezzo si rivolta contro lo Stato che proprio sulle sue sponde ha visto la luce.

 

Al cui interno, tuttavia, trovano posto anche accenti diversi, forse meno nobili ma di certo più concreti: le rivalità municipali, gli scontri tra fazioni, la violenza politica e la delinquenza comune, le lotte demaniali, le bande e le squadre, le vendette private e la brutalità popolare. Sono questi aspetti a trasformare le rivoluzioni in una miscela incandescente di ragioni contrapposte, istanti interminabili in cui le istituzioni vacillano, fino a crollare, e gli odi antichi si addensano sulle loro macerie, reagendo alle sfide della modernità incalzante.

E proprio questa modernità pare essere la cifra più autentica della Sicilia in rivolta: al di là del retaggio ancestrale delle paure che scatenano la rivolta del 1837, vera e propria jacquerie dal forte carattere irrazionale, in ognuna delle cesure ottocentesche è possibile

leggere la vicenda complessa di una terra in costante evoluzione, che rincorre senza tregua le conquiste politiche e sociali dell’Europa contemporanea, che lotta per scrollarsi di dosso il pesante fardello dell’ancien régime, anche a costo di scendere nell’arena impervia della guerra civile, degli scontri e del sangue, in un percorso controverso fatto di … LEGGI TUTTO