Serpotta e la decorazione in stucco

a cura della prof.ssa Marina La Barbera

 

Molti oratori e chiese di Palermo presentano delle decorazioni in stucco, materiale più povero, lavorabile ed adattabile del marmo e, proprio per questo, per molto tempo non fu considerato un soggetto decorativo autonomo ma utilizzato con un ruolo di raccordo fra le parti più ricche in marmo.

 

Giacomo Serpotta è considerato il più talentuoso stuccatore d’Europa, discendente da una famiglia di lapicidi e marmorari, nasce da Gaspare nel 1656 a Palermo e vi morirà nel 1732.

 

L’artista diede inizio ad una vera e propria rivoluzione artistica e culturale introducendo uno stile unico ed originale. Il primo suo intervento fu nella chiesa della Madonna dell’Itria a Monreale, nell’oratorio di San Mercurio compaiono i primi putti che caratterizzeranno tutta la sua produzione artistica.

 

Le più suggestive creazioni serpottiane si trovano proprio all’interno degli oratori palermitani.

 

Gli oratori erano dei luoghi privilegiati ed esclusivi composti da un’aula assembleare utilizzata anche come luogo di culto.

 

L’oratorio faceva tendenzialmente capo alle compagnie e alle congregazioni. Il Codice di Diritto Canonico del 1917 ha diviso gli oratori in tre gruppi: privati, semipubblici e pubblici.

 

Ad una collaborazione con Giacomo o Paolo Amato si deve il primo dei suoi capolavori: l’Oratorio del Rosario in santa Cita. Con Serpotta lo stucco diventa vivo, luminoso, “quella del Serpotta è una scultura che odora come un giardino di Sicilia, le pareti degli oratori sono spalliere di gelsomini”.[1]

 

Lo scultore iniziava le sue opere partendo da un’armatura realizzata con elementi di legno legati insieme con stoppa, sulla quale modellava il nucleo costituito da calce spenta e sabbia di fiume. Dopo avere plasmato e lavorato l’immagine, la rivestiva con uno strato sottilissimo – pochi millimetri – di stucco, terminando la modellazione superficiale con tocchi di spatola. In seguito l’opera veniva ripassata con una leggera velatura di latte di calce e polvere di marmo per rendere la superficie compatta, si procedeva quindi all’allustratura, ottenuta con spatole calde, che dava lucentezza e compattezza.

 

 

Con Serpotta viene superata la funzione puramente decorativa dello stucco per dare spazio a temi di natura pedagogica e teologica. Nell’oratorio di Santa Cita si possono ammirare statue femminili che sono le allegorie della Prudenza e della Giustizia. Splendide statue allegoriche si trovano nell’oratorio del Rosario in San Domenico, nell’oratorio di San Lorenzo ma anche nella chiesa di San Francesco di Assisi dove prendono la forma di dame ornate di piume, pizzi e merletti con movenze aggraziate, circondate da una turba di putti che trasmettono la visione di un barocco giocoso e leggiadro. Il Wittkower scrive che “probabilmente non c’è altro luogo in Italia dove la scultura si sia avvicinata a un vero spirito rococò”[2]. La gioia compositiva del Serpotta emerge dalla rappresentazione di putti svolazzanti che si trovano ovunque: sui pilastri, sulle colonne, sulle cornici aggettanti; sono bambini giocosi, imbronciati, impauriti, che si fanno scherzi, si pizzicano, che chiedono qualcosa alle virtù o partecipano alle vicende dei santi. In mezzo a questo tripudio di allegorie e putti troviamo anche i “teatrini prospettici”, di ascendenza gaginiana,, che assumono le forme di veri e propri palcoscenici, su di essi si alzano quinte naturalistiche o architettoniche dove all’interno si muovono personaggi scolpiti quasi a tutto tondo.

 

A proposito dell’oratorio di San Lorenzo Vincenzo Consolo in Retablo scrive: “ torno torno alle pareti, in cielo, sull’altare, eran stucchi finemente modellati, fasce, riquadri, statue, cornici, d’un color bianchissimo di latte, e qua e là incastri d’oro zecchino stralucente, festoni, cartigli, fiori e fogliame, cornucopie, fiamme, conchiglie, croci, raggiere, pennacchi, nappe, cordoncini. Eran nicchie con scene della vita dei santi Lorenzo e Francesco, e angioli gioiosi, infanti ignudi e tondi, che caracollavan su per le nuvole, cortine a cascate, a volute, a torciglioni. Ma più grandi e più evidenti eran statue di donne che venivano innanti sopra mensolette, donne vaghissime, nobili signore, in positure di grazie o imperiose!”.

 

Gli stucchi di Serpotta dialogano sempre con l’ambiente circostante, dall’architettura ai quadri di epoche precedenti, basti pensare agli angeli che suonano in occasione della Natività realizzata da Caravaggio nell’oratorio di San Lorenzo e vittima di uno dei più clamorosi e discussi furti della storia dell’arte.

 

L’artista ha spesso giocato con il suo nome per firmare le sue composizioni, ad esempio sul piedistallo della statua della Fortezza dell’oratorio del Rosario in San Domenico o in quella della Beata  Caterina in Sant’Agostino troviamo una lucertola che si arrampica, una “sirpuzza” che riporta al cognome Serpotta. Sulle vesti di un bimbo accanto alla statua dell’Ospitalità in San Lorenzo vi è una conchiglia che allude a San Giacomo.

 

Lo scultore, a causa dell’elevato numero di committenze, si circondò di allievi e coadiutori tra cui il fratello Giuseppe e il figlio Procopio, il vero erede dell’arte paterna, che però non fece altro che ripetere i modelli ereditati senza apportare elementi di novità.

 

All’Oratorio dei Bianchi sono esposti diversi stucchi di Giacomo Serpotta provenienti dalla chiesa delle Stimmate demolita in occasione della costruzione del Teatro Massimo.

 

[1] Cfr. Leone G.-Nigro Salvatore S., Viaggio nella Sicilia barocca, Milano 1995.

[2] Wittkower R., Arte e architettura in italia 1600-1750, Torino 1972, cfr. Palazzotto P., Palermo. Guida agli oratori, Palermo 2004, p. 49.

 

BIBLIOGRAFIA
Leone G.-Nigro Salvatore S., Viaggio nella Sicilia barocca, Milano 1995.
Palazzotto P., Palermo. Guida agli oratori, Palermo 2004, p. 49.
Wittkower R., Arte e architettura in italia 1600-1750, Torino 1972