La Resurrezione di Lazzaro a Messina

 

Con un atto del 6 dicembre 1608 il mercante genovese Giovanni Battista Dei Lazzari si obbligava ad edificare e a decorare la cappella principale della chiesa dei Crociferi  ed il 10 giugno del 1609 consegnava un quadro nel quale “fuit et est dipincto resurrectio Lazzaro […] di pitturas manu fra Michelangelo Caravaggio milites gerosolimitanus”; il quadro si trovava nell’altare maggiore della chiesa. Nonostante le non buone condizioni di conservazione l’opera si presenta come una delle più intense dell’arte moderna.  Nella Messina di quel tempo il porto e l’industria della seta offrono redditi notevoli, qui la fama ha preceduto Caravaggio del quale di udiva “gran rumore ch’egli fosse in Italia il primo dipintore”.

 

Michelangelo Merisi da Caravaggio, Resurrezione di Lazzaro, 1609, olio su tela, Museo Regionale , Messina

Il Bellori a proposito della Resurrezione di Lazzaro” scrive: “Lazzaro, il quale sostentato fuori dal sepolcro, apre le braccia alla voce di Christo, che lo chiama, e stende verso di lui la mano. Piange Maria e si meraviglia Maddalena, e vi è uno che si pone la mano al naso per ripararsi dal fetore del cadavere. Il quadro è grande, e le figure hanno il campo di una grotta, col maggiore lume sopra l’ignudo Lazzaro, e di quelli che lo reggono, e sommamente in istaura per la forza dell’imitazione”.

 

Il quadro entra a far parte delle collezioni del Museo Civico di Messina dopo la soppressione delle corporazioni religiose.

 

Da quello che si narra fu Caravaggio a volere questo soggetto speculando sul nome del committente al posto della richiesta “Madonna col Bambino e Santi”, forse riferendosi alla morte di Tommaso de’ Lazzari, fratello di Giovanni Battista, scomparso proprio nel 1608.

 

Caravaggio reinterpreta totalmente il soggetto,tratto dal vangelo di Giovanni; tutte le resurrezioni della storia dell’arte sono viste dal punto di vista dei vivi. In quest’opera il miracolo è rappresentato dal punto di vista dei morti, sembra quasi di avvertire il dolore e la fatica del ritorno alla vita. Il Susinno riferisce che, prima di eseguire il dipinto, il pittore chiese e ottenne di essere alloggiato nell’Ospedale Grande di Messina per potere osservare da vicino la realtà della malattia e della morte.

 

Grande è anche la capacità di rendere gli stati d’animo, basti osservare il bacio fraterno tra Marta e  Lazzaro o le espressioni di stupore dei becchini.

 

Gli strati di colore vengono stesi con pennellate ampie e veloci senza alcun fissativo, lo sfondo è sempre più scuro.

 

Ancora una volta la luce è protagonista, su questa si sofferma lo storico dell’arte Maurizio Calvesi:[…] il fermento della luce sembra avere ormai qualcosa di farneticante: una luce che sfrizza e svapora come in brevi falò e si dibatte tra l’ombra che provenendo dall’incombente fondale attira a se le figure. E’ come una crepitante scossa elettrica, la luce, nel corpo ancora rigido di Lazzaro che sente in sé rifluire la vita e in un drammatico sussulto spalanca le braccia, sospendendo di traverso, nell’aria abbrunata, il salvifico Segno della Croce”.