Francesco Bentivenga

 

(Corleone 4 Marzo 1820-Mezzojuso 20 Dicembre 1856)

 

Il barone Francesco Bentivegna è ritenuto una tra le più significative personalità patriottiche siciliane. Democratico e mazziniano, fu, sin da giovane, un sincero patriota e partecipò alle diverse dimostrazioni antiborboniche del 1847 e alla rivoluzione del 1848, quando, a Corleone, organizzò una squadra armata per condurla a Palermo dove il 12 sarebbe scoppiato il moto rivoluzionario.

 

L’ardore e il coraggio mostrati nell’azione gli valsero, da parte del governo, la nomina a Maggiore dell’esercito nazionale siciliano. Eletto deputato alla Camera dei Comuni, fu tra i sottoscrittori dell’atto del 13 Aprile 1848, con il quale il Parlamento decretava la decadenza della dinastia borbonica dal trono di Sicilia.

 

Tra l’Aprile e il Maggio del 1849 , durante la grande ondata di migrazione politica di patrioti siciliani verso diverse mete estere, bentivegna fu tra coloro che preferirono permanere nell’isola per continuare in patria la propria attività cospirativa, impegnandosi nel fallimentare tentativo di riscossa organizzato a Palermo da quattro Comitati Insurrezionali e che si concluse con un pesante bilancio: numerosi arresti e la fucilazione di sei giovani nella piazza della Fieravecchia.

 

Colpito da mandato di arresto, rimase tuttavia libero,e, da fuggiasco, potè continuare la sua attività cospirativa coordinando forze e mezzi, fino al Febbraio 1853, quando venne arrestato con l’accusa di essere stato il principale oratore in una riunione di patrioti.

 

Il suo arresto rientrava in un più ampio piano della Polizia Borbonica, inteso a reprimere l’ attivismo del Comitato Centrale di Sicilia al quale il Bentivegna era legato.Rimesso in libertà ,si immerse in una nuova spirale di agitazione politica e, pur trovandosi confinato a Corleone e sorvegliato dalla polizia, si pose in contatto con i membri del Comitato e, tra mille insidie, assoldò uomini e raccolse armi e munizioni fino a potere annunciare che tutto era pronto per la riscossa. In questo contesto avviò il moto rivoluzionario che la polizia borbonica, però, represse facilmente.

 

Arrestato, venne processato in modo sommario da un tribunale militare che lo condannò alla pena capitale, così ebbe fine la su eroica vita : fucilato nella piazza principale di Mezzojuso il 20 Dicembre 1856.